05 março 2013

Há 70 anos na Itália

 [ foi hoje colocada uma Adenda ao post "Alto e pára o baile"]
Uma página gloriosa -
a greve da classe operária de Turim-








Enquadramento:

M A R Z O 1943
«A fornire l’occasione fu un provvedimento emanato dal regime per supplire alle difficoltà causate dai bombardamenti che introduceva un’indennità straordinaria per i lavoratori sfollati (concessione di 192 ore di paga, pari ad un mese di salario), provocando la reazione di quelli non sfollati che chiedevano l’assegnazione delle 192 ore per tutti.
Il 1° marzo, una prima agitazione programmata alla Fiat Mirafiori fallì senza riuscire a generalizzare la protesta.
Il 5 marzo, ancora alla Fiat Mirafiori, alcuni reparti delle officine ausiliarie entrarono in sciopero, ma l’iniziativa non si estese a tutto lo stabilimento. L’agitazione riuscì invece negli stabilimenti delle Officine Rasetti dove l’astensione dal lavoro fu quasi totale.
La notizia delle proteste si diffuse ben presto tra i lavoratori delle altre fabbriche cittadine, innescando, come una miccia, una lunga serie di scioperi che durarono fino alla metà del mese diffondendosi poi in tutto il Piemonte e, da qui, nelle principali fabbriche lombarde, liguri, venete ed emiliane fino a provocare "la paralisi di tutta l’industria del Nord" [V. Castronovo, 1987].
Il 6 marzo sospesero il lavoro per l’intera giornata i dipendenti della Microtecnica, e l’8 marzo l’agitazione si diffuse a "macchia di leopardo" coinvolgendo contemporaneamente altri stabilimenti cittadini.
La protesta degli operai torinesi era per il regime una fonte di grande preoccupazione: la mattina del 9 marzo, Carmine Senise, capo della polizia inviava a tutti i prefetti un telegramma per informarli come "una notevole percentuale operai si est astenuta contemporaneamente dal lavoro. Pregasi mantenersi vigilantissimi" [U. Massola, 1973]. Le parole di Senise caddero però nel vuoto. A Torino lo sciopero era ormai lanciato e coinvolgeva una porzione sempre più compatta di lavoratori che rivendicavano l’aumento del salario e la concessione dell’indennità di sfollamento (192 ore).
L’11 marzo a Roma Mussolini esprimeva la sua ostilità riguardo agli scioperi torinesi davanti al direttorio del Partito Fascista augurandosi che Torino non desse "anche in questa guerra, l’esempio che diede nella scorsa, nel 1917" [E. e D. Susmel, 1966]. La mattina dello stesso giorno, altri dieci stabilimenti fermavano i macchinari.
Gli scioperi continuarono coinvolgendo un maggior numero di lavoratori ai quali si univano, dal 12 marzo, anche i tranvieri che esigevano il pagamento del carovita e delle 192 ore.
La durissima repressione (furono circa 850 gli arresti e centinaia i ritiri degli esoneri) e la sostanziale concessione delle principali rivendicazioni economiche (fu accordata l’indennità di guerra) fecero spegnere giovedì 18 marzo marzo la protesta di circa “100.000 operai torinesi”; così li quantificava l’Unità del 15 marzo 1943.
Le giornate del marzo 1943 rappresentarono un evento rilevante non solamente sul piano economico ma soprattutto su quello politico: infatti, il malcontento economico “aveva fatto da base ad una protesta che i manifestanti comunisti avevano indirizzato contro la guerra e il fascismo”. [R. Battaglia, 1964].
Il regime, che era stato costretto a "rispondere positivamente ad un’iniziativa partita dagli operai" [C. Dellavalle, 1980], appariva ora fortemente ridimensionato, messo a nudo in tutti i suoi punti deboli, : viceversa gli operai apparivano come il primo soggetto sociale in grado di contrastare la politica fascista per altro in grave crisi.
Le giornate del marzo 1943 erano perciò destinate a non rimanere un episodio isolato.
L’estensione ad altre aree e ad altre città della protesta stava a sottolineare che gli scioperi degli operai torinesi avevano dato voce ad una situazione di grave e diffuso disagio. E assumevano perciò una valenza politica generale.
A G O S T O 1943
Caduto il regime fascista il 25 luglio del 1943, il governo Badoglio per scongiurare ogni forma di protesta mantenne un rigido controllo nelle fabbriche utilizzando anche l’esercito. Tra il 17 e il 20 agosto dello stesso anno gli operai torinesi entrarono in sciopero per richiedere l’uscita dell’Italia dal conflitto. Furono i bombardamenti del 16 di agosto che provocarono ingenti danni alla città, la scintilla che fece esplodere il malcontento operaio, [tabella 12].
La mattina del 17 agosto la protesta iniziò alla Grandi Motori assumendo connotazioni drammatiche (all’uscita degli operai dalla fabbrica le truppe avevano risposto con il fuoco provocando il ferimento di sette operai, uno dei quali morì) e si diffuse, nei giorni successivi in tutte le altre fabbriche cittadine. Una prima avvisaglia di sciopero si ebbe il 18 agosto, quando le maestranze delle Officine Rasetti e della Grandi Motori si astennero dal lavoro, ma fu il 19 agosto che l’astensione dal lavoro fu totale: le fabbriche si fermarono supportate nella protesta dai tranvieri e dalle categorie degli impiegati, degli artigiani e dei commercianti.
Il giorno successivo arrivò a Torino il ministro del lavoro Piccardi che raggiunse con i rappresentanti degli operai importanti accordi: il riconoscimento delle commissioni interne, la scarcerazione dei detenuti politici e il ritiro dalle officine delle truppe e dei carri armati e il 21 agosto le fabbriche torinesi riprendevano regolarmente il lavoro
Gli scioperi dell’agosto del 1943 si differenziarono da quelli del marzo per la modalità di esecuzione (i lavoratori uscirono dalle officine e si riversarono lungo le strade cittadine) e per le rivendicazioni: la fine della guerra si univa ad un altro tipo di richieste (ritiro delle truppe dagli stabilimenti, scarcerazione dei detenuti politici, ritardo del coprifuoco, libertà di stampa e la rimozione dalle cariche civili e militari dei funzionari fascisti che avevano dimostrato atteggiamenti brutali contro gli operai) che davano alle lotte dei lavoratori un marcato tratto di politicità.
La caduta del regime avrebbe dovuto coincidere con la fine della guerra: questa era l’interpretazione comune non solo agli operai, ma anche a gran parte della popolazione, e le agitazioni di agosto promosse dai lavoratori torinesi ebbero il merito di tradurre quello che era un "desiderio diffuso in necessità politica" [C. Dellavalle, 1980].
S E T T E M B R E 1943
L’occupazione tedesca, in seguito alla crisi dell’8 settembre, ebbe sull’industria piemontese pesanti riflessi negativi, facendo registrare una generale caduta degli indici produttivi.
A ciò si doveva aggiungere il peggioramento delle condizioni operaie dovute all’inconsistenza dei salari in relazione al costo della vita (aumentato in seguito all’occupazione nazista), alle pessime condizioni di lavoro all’interno delle fabbriche e alle difficoltà nel reperimento di generi alimentari di prima necessità (oramai disponibili solo alla borsa nera dove avevano raggiunto prezzi molto elevati), motivi che, verso la metà di novembre, innescarono una nuova ondata di proteste.
N O V E M B R E 1943
Il 16 novembre lo sciopero iniziava alla Fiat Mirafiori, dove tutti i quadri dello stabilimento (operai, tecnici e impiegati) si astennero dal lavoro, dando l’esempio alle altre fabbriche torinesi. Tra il 17 e il 20 novembre l’azione proseguì compatta: tutte le industrie cittadine erano in sciopero e nessun settore produttivo entrò in funzione.
I lavoratori chiedevano "l’aumento dei salari e delle razioni alimentari" [M. Giovana, 1962] e il 20 novembre gli operai decisero di inviare le ricostituite commissioni interne a trattare col comando germanico che promise miglioramenti se i lavoratori avessero ripreso il lavoro. In caso contrario il Reich tedesco non avrebbe più tollerato nessuna interruzione della produzione. Lo sciopero fu interrotto per una settimana e solo il 25 novembre le fabbriche riavviarono i macchinari.
Il 30 novembre i vertici tedeschi, in un incontro con le commissioni degli operai Fiat, che però rappresentavano tutte le maestranze torinesi, resero note le loro proposte che non corrispondevano alle promesse fatte ai lavoratori: estensione a tutta la famiglia operaia del supplemento pane del 75% dato al capofamiglia; carte annonarie supplementari; blocco dei prezzi e aumento dei salari del 30%.
La reazione operaia a queste proposte giudicate insoddisfacenti non tardò ad arrivare e si materializzò in uno sciopero che coinvolse il mattino del 1° dicembre le maestranze di svariati impianti cittadini, senza però toccare lo stabilimento di Mirafiori (presidiato da reparti armati tedeschi), della Spa e dell’Aeronautica dove gli operai rimasero sotto il tiro delle armi tedesche fino alla ripresa del lavoro.
Le intimidazioni tedesche sugli operai di Mirafiori resero "orfani" della forza principale i lavoratori degli altri stabilimenti torinesi, che prolungarono lo sciopero di 48 ore, ma furono poi obbligati ad interromperlo.
Gli scioperi del novembre e del dicembre 1943 contribuirono comunque al raggiungimento di rilevanti obiettivi, economici e politici.L’aumento del 30% dei salari, la trasformazione dell’indennità concessa in aprile in indennità di presenza, l’estensione a tutti del pagamento delle 192 ore e il contributo in viveri che le aziende e i tedeschi si impegnavano a versare, costituivano infatti per i lavoratori torinesi delle concessioni tutt’altro che marginali sul piano economico.
Dal punto di vista politico gli scioperi rafforzarono invece le posizioni dell’antifascismo politico: gli operai rappresentavano un grande potenziale di conflittualità da riversare contro il regime nazifascista e furono proprio le maggiori voci di opposizione al regime (azionisti, comunisti e socialisti) a "orientare questa forza generale in senso più esplicitamente politico" [C. Dellavalle, 1993]. Tutto ciò avverrà con lo sciopero generale del 1° marzo 1944. »


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